Poteva la natura darmi dei capezzoli asimmetrici su una misera seconda,  mi sarei lamentata di meno.
Poteva mia madre fuggire con un venditore  di olio di serpente e lasciarmi sola, mi sarei lamentata di meno.
Potevano  i ladri milanesi rubarmi altri dieci cd dei miei “NO-PRESTITO” insieme  alla macchina, lo scorso novembre.
Ho spaccato bottiglie per un  totale di dodici giorni a raccogliere i vetrini insidiosissimi che ti si  attaccano alle calze, ma anche tutto questo va sotto la categoria:  “tragedia incommensurabile ma ricomprabile”.  (Tranne il bootleg di  Black dei Pearl, quello devo averlo scritto anche sulla denuncia in  questura perché in fondo, la mia compagnia assicurativa DEVE, DEVE  capire. DEVE capire che mi deve un anno della mia vita, di cui di  concreto era rimasto solo l’odore di quella copertina).
Poteva il  caso farmi nascere insensibile al fascino di Al Pacino mentre guarda il  fratello Fredo e “u are nothing to me.
Not a brother, not a  friend.”, mi sarei lamentata di meno.
Ma il caffè.
Mi scorre nelle  vene insieme alle croste del parmigiano reggiano.
E impedirmelo,  così su due piedi in un pronto soccorso, no. Preparatemi prima, dio  benedetto, ho dei sentimenti anch’io.
E non per ristrettezza di  vedute, ma non so perché al caffè d’orzo associo le penne al ragù  bolognese che ho mangiato a Canterbury.