22.2.03

Lecco-Milano corsia di accelerazione.
320D identica alla mia salvo colore si lancia in intimidazioni agonistiche.
Si percorre il tratto superstradale seminando terrore e sofferenza alla circolazione convenzionale ma soprattutto alla casalinga sulla Polo in ritardo per vedere i sunti ciclici di grandefratello e al tir con insegna lampeggiante SALVATORE FIGLIO DI DIO.
Tra parentesi mi scuso, ma a me la polizia sulla Fiat Punto non riesce a mettere ansia.
Primi semafori. Il nemico cala il finestrino e grida “CAFFE’”.
Decongestionamento.
in definitiva lo apprezzo perché ha perso, ma gli faccio il segno di orologio barra spaccacazzi.
Segue indefesso.
Viale monza. Guadagna percorso grazie a Panda 4×4 davanti al mio veicolo con freccia a sinistra lampeggiante da mariano comense, e si orizzontalizza con freno a mano sulla strada.
Nonostante la mia stima incondizionata per la manovra convulsa in fascia protetta, non lo tampono per centimetri venti.
Esce. Maschio, trentenne, cravatta businessman. Mi porge la mano.
“Ciao, Flavio, architetto”
impallidita.
“Ciao, Flavio, testadicazzo”
impallidito.
Mi vagheggia colazioni improbabili, mi limito a mostrargli la tipologia di tacco lussurioso del mio stivale nero contro cui ha conteso.
Faccio per rientrare nell’abitacolo e si succhia voluttuosamente il dito indice.
Mi scrive con saliva urbanista il suo numero di cellulare sul cofano, sgommo prima che completi l’ultima cifra.
Risorpasso la Fiat Freccia Sinistra e, parcheggiata, valuto che potrebbe avermi rovinato la carrozzeria con gli enzimi digestivi.
Il numero è ancora visibile.
Lo conservo per chi abbia desiderio arretrato di vittima laureata casuale.