2.5.02

Poteva la natura darmi dei capezzoli asimmetrici su una misera seconda, mi sarei lamentata di meno.
Poteva mia madre fuggire con un venditore di olio di serpente e lasciarmi sola, mi sarei lamentata di meno.
Potevano i ladri milanesi rubarmi altri dieci cd dei miei “NO-PRESTITO” insieme alla macchina, lo scorso novembre.
Ho spaccato bottiglie per un totale di dodici giorni a raccogliere i vetrini insidiosissimi che ti si attaccano alle calze, ma anche tutto questo va sotto la categoria: “tragedia incommensurabile ma ricomprabile”. (Tranne il bootleg di Black dei Pearl, quello devo averlo scritto anche sulla denuncia in questura perché in fondo, la mia compagnia assicurativa DEVE, DEVE capire. DEVE capire che mi deve un anno della mia vita, di cui di concreto era rimasto solo l’odore di quella copertina).
Poteva il caso farmi nascere insensibile al fascino di Al Pacino mentre guarda il fratello Fredo e “u are nothing to me.
Not a brother, not a friend.”, mi sarei lamentata di meno.
Ma il caffè.
Mi scorre nelle vene insieme alle croste del parmigiano reggiano.
E impedirmelo, così su due piedi in un pronto soccorso, no. Preparatemi prima, dio benedetto, ho dei sentimenti anch’io.
E non per ristrettezza di vedute, ma non so perché al caffè d’orzo associo le penne al ragù bolognese che ho mangiato a Canterbury.